L'alimentazione come regolatore delle funzioni epato-pancreatiche

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Dr. Antonio Sbardella

ABSTRACT

Scopo

Il lavoro si propone di illustrare, dal punto di vista della Bioterapia Nutrizionale, la gestione dell'alimentazione sottolineando i rapporti fisiologici e fisio-patologici che esistono fra fegato e pancreas e come ciascun organo influisca sul funzionamento dell'altro sia in benessere sia in malattia. Ciò viene esaminato prestando una particolare attenzione alla regolazione dei valori glicemici.

Materiali e metodi

Lo studio è stato condotto utilizzando, come elementi di valutazione clinica:

  • reattivi per le analisi delle urine;
  • esami ematochimici;
  • esami ecografici.

Il trattamento è stato esclusivamente nutrizionale.

Risultati

I risultati ottenuti mostrano un significativo miglioramento del quadro emato-chimico ed ecografico dei pazienti esaminati in rapporto alla terapia alimentare seguita e al periodo di trattamento.

Conclusioni

L'esperienza accumulata nel trattamento nutrizionale dei disturbi del fegato e del pancreas mostra quanto evidente sia il legame funzionale fra i due organi. Spesso un fegato in difficoltà è responsabile di disturbi apparentemente di altra origine come emicranie, stipsi, insonnia, variazioni dell'umore, varici emorroidarie o degli arti inferiori. Questi, come i disturbi più classicamente riconducibili a un stato di disequilibrio o patologico del fegato, possono spesso essere curati con un adeguato regime alimentare che si rivela non di rado in grado di correggerli permanentemente. Di contro si è rilevato come variazioni anomale della glicemia possano alterare il normale funzionamento del fegato il quale non è più il responsabile primo della patologia ma solo la spia di uno squilibrio presente altrove, cioè nel pancreas.

RELAZIONE

Solitamente si è portati, in presenza di un disturbo di una certa entità, ad escludere determinati alimenti dalla dieta. E' un comportamento in parte istintivo (fatto da non sottovalutare), in parte dettato da verifiche dirette del paziente e in parte consiglio del medico. Sono atti dettati dalla convinzione, ovviamente fondata, che l'uso improprio degli alimenti, in certe condizioni, possa nuocere.

E' però altrettanto vero che gli alimenti utilizzati in maniera appropriata e correttamente associati sono in grado non solo di non recare danno ma anche di portare beneficio a una determinata patologia. I sistemi viventi tendono all'equilibrio biologico, un equilibrio dinamico e suscettibile di continue variazioni. Questa caratteristica rende gli organismi capaci di reagire e di adattarsi alle variazioni ambientali esterne (pensiamo al letargo, alla sostituzione del rivestimento esterno, all'ermafroditismo). Un organismo che guarisce è un organismo che ha recuperato lo stato di equilibrio iniziale, dal quale la patologia lo aveva allontanato.

L'argomento di questa relazione riguarda la funzionalità epato-pancreatica e la gestione dell'alimentazione nei disturbi più comuni di questi organi che in alcuni casi vanno intesi quasi come un unicum funzionale. Si tratta di un alimentazione che ha lo scopo di curare mettendo in condizione l'organismo di recuperare proprio quello stato di equilibrio che è venuto meno.

Il fegato è l'organo che effettua il maggior numero di reazioni chimiche nell'organismo dei mammiferi. Tutte le reazioni chimiche hanno bisogno di energia, quindi il fegato ne richiede molta per funzionare correttamente. L'organismo umano ricava la sua energia soprattutto dai carboidrati che, scomposti dapprima in assenza e poi in presenza di ossigeno, producono il "carburante" sotto forma di adenosintrifosfato o ATP.

Quando parliamo di terapia nutrizionale nei disturbi epatici, parliamo soprattutto dell'utilizzazione dei carboidrati che ci vengono specialmente da farinacei, cereali, frutta e tutti gli alimenti che contengono grandi quantità di zuccheri. L'utilizzo degli zuccheri consente, per quanto detto finora, di aiutare la cellula epatica nella sua attività che è, per una buona parte, di trasformazione ed eliminazione. Questo è un aspetto di fondamentale importanza quando si affronta un trattamento bionutrizionale in un soggetto con una patologia epatica.

Nelle epatiti esiste un danno cellulare più o meno ampio e il fegato è in uno stato di tossicità dovuto non solo all'azione diretta del virus ma anche, e forse soprattutto, ai cataboliti che le difese producono, nella loro lotta contro l'agente infettante. Si tratta perciò di un fegato che va aiutato nella sua funzione facendo attenzione, soprattutto nelle prime fasi del trattamento, a non sollecitarlo per non metterne in crisi i già esigui margini di funzionamento. Per far questo, come dicevamo, si devono somministrare adeguate dosi di carboidrati che però non vanno forniti indiscriminatamente.

Un eccesso di zuccheri può mettere il fegato in ulteriore difficoltà perché il pancreas produce una quantità di insulina tale da abbassare troppo la glicemia. In questo caso l'apporto di zucchero al fegato risulta inadeguato e l'epatocita ne riceve nocumento.

Nei primi giorni di trattamento vanno evitate le proteine animali, specialmente quelle della carne, dei formaggi e del pesce perché, per meccanismi diversi, richiederebbero alla cellula epatica una produzione di enzimi e sali biliari eccessiva dal momento che il suo massimo sforzo è difendersi dall'infezione in atto. Quindi il razionale della fase iniziale della terapia non è dettato dalla necessità di mettere la cellula "a riposo", scelta non solo inutile ma addirittura controproducente, ma dall'intento di metterla in condizioni di indirizzare quante più risorse possibili alla difesa dall'agente patogeno. Nel caso di epatite C preso ad esempio si è iniziato a somministrare modiche quantità di proteine dopo 3-4 settimane, scegliendo quelle dell'uovo.

La paura "atavica" dell'uovo nelle patologie epatiche non ha fondamento pratico né scientifico. L'uovo è una cellula (a rigore una cellula staminale) le cui proteine sono ancora totalmente indifferenziate, di conseguenza sono le più facili da assimilare dal punto di vista biochimico e il contenuto in grassi non è tale da destare preoccupazioni. Più importanti, e di gran lunga, sono i vantaggi. Possiamo così fornire al fegato la proteina ideale per i suoi processi di rigenerazione cellulare. In seguito il paziente è giunto ad assumere anche carni bianche e pesce che uniti alle verdure (in particolare carciofi, porri, cardi, fagiolini, zucchine, e insalata a basso contenuto di ferro) e alla frutta hanno completato in maniera armonica la sua dieta, assicurandogli un regime alimentare equilibrato e perciò utilizzabile a lungo. Si è però preferito continuare ad evitare latticini e carni rosse. Altri alimenti utili sono quelli con buon contenuto di molecole acide come agrumi e pomodori. L'acido citrico di cui dispongono è particolarmente utile per il sostegno dei meccanismi ossidativi della cellula epatica.

Diverso è l'approccio quando contemporaneamente a una patologia epatica, epatite o altro, è presente uno squilibrio glicemico. In questi casi, infatti, l'impostazione della terapia nutrizionale presenta delle differenze sostanziali. E' necessario gestire con attenzione la somministrazione degli zuccheri perché il rischio maggiore è rappresentato dalla possibilità di provocare picchi iper-glicemici eccessivi e ingiustificati cui spesso segue una fase di ipoglicemia altrettanto marcata. Questo procedere non regolare della curva glicemica mette in crisi il fegato per le ragioni esposte in precedenza. E' esperienza clinica ormai consolidata osservare quanto raro sia un paziente con disturbi della glicemia e con un fegato funzionalmente in ordine, ulteriore conferma dello strettissimo legame fra i due organi.

Un altro aspetto importante nel trattamento nutrizionale è la via attraverso la quale agire sul pancreas, poiché esso è dotato di una attività esocrina e di un'altra endocrina ma anatomicamente è uno solo; è attraverso la gestione della seconda che si ottengono benefici anche sulla prima poiché le due componenti non sono affatto indipendenti.

L'impostazione del trattamento nutrizionale, in questi casi, si fonda non sulla drastica riduzione degli zuccheri, come si sarebbe portati a pensare, ma sull'utilizzazione di quelli a lento rilascio. Non useremo quindi riso, patate o frutta, come nel primo caso, ma pasta e pane. Usare del pane con olio o del pane con prosciutto consente di rallentare ulteriormente l'assorbimento della componente glucidica perché la presenza di proteine e grassi provoca l'attivazione di sistemi enzimatici più articolati e quindi un più lento assorbimento intestinale. Riguardo agli alimenti "acidi" è buona precauzione usarli con attenzione perché, in questo caso, troppe sostanze acide richiedono la produzione di gran quantità di bicarbonati da parte del pancreas e ciò può creare disturbo alla ghiandola. Come si vede il trattamento, in presenza di una stessa patologia, è diverso perché diverso è l'organismo che si sta trattando. Non tenere in considerazione questo può significare il fallimento della terapia ma, soprattutto, un paziente che non migliora.

Conclusioni

Il trattamento bionutrizionale delle patologie epato-pancreatiche, molto più vasto nei suoi impieghi di quanto per brevità si sia detto in questa relazione, ha in queste malattie un sicuro riscontro terapeutico che però dipende da un corretto inquadramento clinico e anamnestico del paziente. Ciò rappresenta, a nostro avviso, l'aspetto più importante per il successo terapeutico in qualunque atto medico che guardi al malato come un unico organismo e non come un insieme di apparati indipendenti fra loro.

BIBLIOGRAFIA
  • Harrison: Principi di Medicina Interni; Ed. Mc Graw
  • Pontieri G. M.: Patologia Generale; Ed. Piccin
  • Schiff L.: Diseases of the liver; Ed. Lippicott Co.

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